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Pubblichiamo il discorso di commemorazione tenuto dall’amico prof. Massimo Contiero,

in occasione del funerale del prof. Sergio Garbato

presso il Duomo di Rovigo, mercoledì 8 Novembre 2017

 

Chi non conosceva Sergio? Tutti conoscevano Sergio. I numerosi presenti in questa chiesa non sono che una parziale testimonianza della sua popolarità. Per il suo ingegno, la sua cultura, la sua memoria inesorabile, la sua personalità, si sarebbe fatto notare anche in una metropoli, ma lui, magari sbuffando e non facendo mancare le sue critiche, a questa terra era sempre rimasto legato. L’aveva raccontata fin da giovanissimo dalle pagine di giornali – Il Resto del Carlino soprattutto – e in diversi libri, con una prosa sempre elegante, germinata dal suo contatto costante con la grande letteratura universale.

Non c’era angolo che non conoscesse, non c’è stata località che non si sia avvalsa del suo sapere. Perché Sergio non restava in disparte, ma si spendeva generosamente sul territorio, presentando libri, mostre, pellicole, concerti, sempre con finezza, con il massimo rispetto per le celebrità come per i giovani esordienti. Dunque in tanti sapevano di poter contare su di lui e sapevano che con la sua preparazione, con le sue parole avrebbe nobilitato qualsiasi evento. Senza saccenteria proterva: è stato un divulgatore formidabile in mille e mille conferenze. Generazioni di giovani l’hanno avuto come insegnante. Non si occupava però solo delle attività altrui. Era un operatore culturale a tutto tondo che creava e organizzava in prima persona. Aveva inventato, ancora negli anni ’70, l’Estate Teatrale in Polesine, con il compagno di cento avventure, il nostro fraterno amico Gabbris Ferrari, anche lui scomparso da poco. Sergio è stato direttore artistico del Teatro Sociale, è stato Assessore alla cultura del Comune di Rovigo. Tante Associazioni l’hanno avuto tra i loro iscritti o negli organismi direttivi, dal Circolo del Cinema, al Thomas Mann, alla Società di concerti Venezze e altre ancora.

Era socio dell’Accademia dei Concordi. La sua partecipazione alla vita di queste Istituzioni non era mai di routine, era sempre carica di idee, di contributi originali. Metteva sempre tutto se stesso in quel che faceva. Allacciava così relazioni destinate a durare, perché in molti desideravano restare in contatto con lui. La nostra amicizia è durata più di mezzo secolo. Ci siamo conosciuti – inevitabilmente - grazie alla passione per la musica che Sergio aveva ereditato dal padre, che si era diplomato in pianoforte al Benedetto Marcello. Con il padre aveva un legame speciale. Chi li ha frequentati, come io ho avuto l’opportunità di fare - sa che erano una compagnia davvero irresistibile. Devo molto a Sergio. Sapeva talmente tanto più di me, che quando mi inoltravo in qualcosa di inconsueto ed ero tentato di lasciar perdere pensando all’impossibilità poi di confrontarmi con qualcuno, mi dicevo “Questo Sergio lo sa, questo Sergio l’ha visto, questo Sergio l’ha ascoltato” e mai mi sbagliavo. Altre volte mi comunicava il suo entusiasmo per quella lettura, quel disco, quell’interprete, quella pellicola e io, subito o anche distanza di tempo, seguivo quei suggerimenti, per farne un bagaglio comune da condividere in confronti e discussioni che ci appassionavano. Di questa funzione di stimolo, di questa spinta a migliorarmi, gli porto profonda gratitudine, perché tante cose ho imparato e ho amato grazie a lui. Non sempre filava tutto liscio, come è naturale, ma trovavamo sempre il modo di incontrarci di nuovo, perché erano troppe le cose che ci univano, perché era troppo bello stare insieme.

Aveva convinzioni radicate, idee forti, che difendeva anche scontrandosi. Non era uomo da compromessi. Però era un uomo divertente e con lui ho riso spessissimo. Aveva un’arguzia speciale, un’ironia con la quale smontava in maniera fulminante falsi miti, presunzioni, vanaglorie, ipocrisie. Inquadrava con poche parole grandi personaggi o figure locali. Anche semplicemente chiacchierare con lui era infinitamente piacevole e più di qualche volta abbiamo fatto l’alba tra discorsi alti e battute.

Conservo parole molto care che mi ha scritto in questi ultimi anni. Pur essendo andato io a lavorare a Venezia, l’ho sentito comunque vicino. Sapevo che lui c’era. Per uno strano pudore, non si dicevano parole affettuose tra noi, anche se sapevamo di essere legati, di sapere tutto l’uno dell’altro. Quasi con timidezza queste parole sono emerse in quest’ultimo periodo segnato dalla malattia. Anche in questa fase l’ho ammirato. L’ho detto alla bravissima moglie Sandra, ad Irene e Leonardo, mentre giocavano ai nostri piedi i nipotini Filippo e Bianca. Ho ammirato la sua forza d’animo: mai un lamento, mai una recriminazione, un segnale di debolezza e deve essere stato assai duro per uno come lui, mai inattivo, dover attendere passivamente, perché le forze venivano meno. Caro Sergio, oltre ai tuoi cari, ai tuoi fratelli, ti abbiamo voluto bene in tanti. Per la nostra comunità, non poter più contare su di te, è una perdita grave. Non ho conosciuto e non conoscerò mai uno come te. Mi restano ricordi bellissimi ed indelebili.

                                                                                                                                                                                                                                  Massimo Contiero

 

sergio garbato

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